Articolo: Un anno senza internet.

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    Guardian of Asgaard!

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    «Un anno senza Rete. E non mi è piaciuto»
    Dopo 12 mesi offline il giornalista di The Verge Paul Miller racconta la sua esperienza: «La gente è su Internet»
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    «Un anno fa ho lasciato internet, pensavo stesse corrompendo la mia anima. Mi sbagliavo, c’è molta realtà nel virtuale, e la rete non è un passatempo solitario, ma qualcosa che facciamo con gli altri». Si è concluso così «l’esperimento» di Paul Miller, giornalista di The Verge. Staccare la spina per un anno, e dedicarsi alle «cose importanti della vita», lontano da Internet: la famiglia, gli amici, la lettura. A partire dalla mezzanotte del primo maggio dello scorso anno, Miller ha continuato a lavorare per The Verge, pagato, ma per stare offline. Tutto, per dimostrare quanto il web ci renda improduttivi, allontanandoci anche dalla realtà. Il risultato? «Ora dovrei raccontarvi come ho risolto tutti i miei problemi. Invece sono le 20:00, mi sono appena svegliato, e sto guardando Toy Story, mentre spero che questo articolo si scriva da solo, raccontandovi i passi in avanti che la mia vita non è riuscita a fare», scrive Miller, non senza una punta di disincanto per le aspettative deluse dal suo anno offline.
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    Un anno che The Verge ha seguito da vicino, riassumendolo in un video che racconta bene lo spirito e i passaggi fondamentali del ritorno di Miller all’era pre-Internet: lo spegnimento di pc, tablet e smatphone, l’incontro con una comunità ebraica, il rapporto (migliorato) con la sorella, il pianto durante la lettura de I Miserabili di Hugo. «Alle 11:59 il 30 aprile 2012 ho staccato il cavo ethernet e spento il mio wi-fi. Avevo 26 anni e volevo scappare, mi chiedevo cosa altro ci fosse nella vita, oltre al Web. Il mio piano era quello di lasciare il mio lavoro, tornare a casa dai miei genitori, leggere libri, ma per qualche motivo il sito per cui lavoro ha voluto pagarmi anche per lasciare internet», racconta Miller, spiegando le ragioni della sua decisione.


    Una scelta che all’inizio gli ha schiuso le porte di un mondo tutto nuovo, in cui poter trascorrere il tempo ad annusare fiori, conoscere nuove persone, fare gite in bicicletta, comprare nuovi vestiti e «leggere 100 pagine dell’Odissea d’un fiato, mentre prima era difficile arrivare già a una decina». Un mondo fatto anche di incontri inaspettati, come quando Miller si è ritrovato a New York, circondato da sessantamila ebrei ultra-ortodossi accorsi come lui ad un evento «per imparare i pericoli di Internet dai rabbini più rispettati del mondo». Lì Miller, riconosciuto da un partecipante, è stato rincorso dal religioso ansioso di mostrargli gratitudine per la sua scelta di allontanarsi dal Web, ricordandogli come la religione ebraica esprima da sempre cautela verso il mondo moderno.

    Eppure, nonostante la sorpresa personale del pianto durante la lettura del romanzo di Victor Hugo, e il miglioramento del rapporto con la sorella, meno distaccato e più «presente», Miller si rende conto che non tutto va per il verso giusto. «Verso la fine del 2012 ho scoperto nuovi vizi off-line. Invece di trasformare la noia in creatività, mi sono lasciato andare alla passività e al ritiro sociale. Non guido la mia moto da un anno, il mio frisbee è sommerso dalla polvere, e la maggior parte delle settimane non esco. Il mio posto preferito è il divano, con i piedi sul tavolino da caffè, per giocare a un videogioco», racconta Miller, attraverso una meritevole presa di coscienza del fallimento di molte delle sue aspettative.

    Non solo, in quella che sembra più una seduta di autocoscienza che un resoconto di una esperienza personale, il giornalista di The Verge mette in fila anche dei pratici esempi per dimostrare l’utilità del web ai fini della socialità «reale». «Senza Internet è certamente più difficile trovare le persone. È più difficile fare una telefonata, che inviare un’e-mail. Un mio amico si è trasferito in Cina l’anno scorso, e non ho parlato con lui da allora. Il mio migliore amico è semplicemente svanito nel suo lavoro, e io sono caduto fuori sincronia con il flusso della vita, perché Internet è il posto dove ci sono le persone», scrive Miller, che poi si lascia andare, forse, al ricordo più significativo della sua esperienza. «Mia nipote Keziah ha cinque anni, non sa cos’è la Rete, ma quando le ho domandato se si fosse chiesta perché non l’avessi mai chiamata su Skype quest'anno, ha risposto: "Ho pensato che non volevi". Con le lacrime agli occhi, le ho spiegato che ho passato un anno senza utilizzare Internet, dicendole poi: "Ma ora sto tornando indietro e posso vedermi di nuovo con te su Skype"».

    Dal Corriere

    Che ne pensate quindi?
    A mia opinione Internet sarà sempre più importante, ma in modo positivo!
     
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    Dijo ano jaja
     
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